La grande contraddizione

Mai gli immigrati sono stati così necessari per paesi in declino demografico. Mai così al centro delle preoccupazioni dell’elettorato, in Italia come nel resto del mondo. Tre strade per affrontare questa grande contraddizione che rischia di compromettere la crescita economica e minare la coesione sociale.

 

Mai come oggi i paesi più ricchi del mondo hanno bisogno di manodopera immigrata. Mai come oggi l’immigrazione è al centro delle preoccupazioni di chi vive nei paesi di arrivo, a partire dagli stessi immigrati di prima e seconda generazione, al punto da divenire l’arena principale su cui si costruiscono successi e insuccessi elettorali. Ce lo ha ricordato, se mai ce ne fosse stato bisogno, la vittoria di Donald Trump alle elezioni presidenziali negli Stati Uniti.

Quando a mancare sono i lavoratori

Siamo passati da un mondo in cui c’erano troppo pochi lavori a uno in cui ci sono troppo pochi lavoratori. L’insieme dei paesi Ocse soffre oggi di carenze di manodopera a tutti i livelli. I tassi di disoccupazione non sono mai stati così bassi. Il numero di posti vacanti non riempiti in rapporto alla forza lavoro è ai massimi storici. Sono dati che inorgogliscono i governi, che non perdono occasione per attribuirsene i meriti. In realtà, sono una misura della loro incapacità di affrontare i problemi imposti dal calo demografico. L’immigrazione nel breve periodo è spesso l’unica risorsa cui attingere per soddisfare le esigenze di famiglie e imprese alla disperata ricerca di personale che si prenda cura di famigliari non autosufficienti e di lavoratori in una vasta gamma di mansioni. L’altra potenziale risorsa, in paesi storicamente con bassi tassi di occupazione, è rappresentata dalla partecipazione al mercato del lavoro di donne e giovani. Ma le donne e i giovani hanno aspirazioni professionali spesso molto diverse da quelle per cui si cerca personale. Tra le mansioni più richieste figurano l’assistenza domestica alle persone non autosufficienti, gli addetti alle pulizie, i camerieri, i baristi, tutte attività che offrono salari bassi, ritmi lavorativi molto pesanti e in cui una grande percentuale di lavoratori dichiara di non riuscire ad arrivare alla fine del mese. Sono caratteristiche oggettive di questi lavori, difficilmente modificabili cosicché anche salari più alti faticano ad attrarre chi oggi sceglie di non partecipare al mercato del lavoro. La domanda di famiglie e imprese è poi molto sensibile a variazioni del costo del lavoro: calerebbe nettamente in caso di salari significativamente più alti, riducendo l’assistenza alle persone non autosufficienti e molti altri servizi offerti alla collettività.

L’immigrazione serve anche a migliorare i conti pubblici, rende più sostenibili i sistemi pensionistici per il semplice fatto che gli immigrati sono più giovani della popolazione autoctona, ampliando il numero di coloro che versano i contributi previdenziali rispetto a quello di chi riceve questi versamenti sotto forma di pensioni. Il contributo fiscale positivo dell’immigrazione opera anche a livello locale, soprattutto perché fa aumentare le entrate da tassazione di seconde case messe in affitto dai residenti anziché essere registrate come abitazioni principali, esenti dall’Imu.

L’emergenza continua

Nonostante questi benefici economici e fiscali, l’immigrazione è diventata la principale preoccupazione degli elettori. Per ragioni spesso non strettamente economiche si teme l’arrivo degli immigrati, si offre il proprio sostegno a partiti e leader politici che pongono al centro delle loro strategie comunicative la chiusura delle frontiere e la deportazione in massa di coloro che sono presenti irregolarmente nel paese. Come mostriamo in questo numero di eco, le strategie messe in atto per contenere i flussi migratori finiscono soprattutto per rendere più difficile l’integrazione di chi poi arriva e ci condanna a una emergenza continua. Pur di ridurre gli sbarchi dei disperati che provengono dal Nord Africa, il nostro paese ha foraggiato regimi dittatoriali in Libia e Tunisia. Le carceri libiche e tunisine dovrebbero agire come deterrente all’emigrazione, ma non bloccano del tutto i flussi. In questi paesi la corruzione è altissima. Molti riescono a fuggire dalle carceri pagando i propri aguzzini. Da noi arrivano così persone che hanno subito estorsioni e violenze di ogni tipo. Le indagini, di cui diamo conto, svolte in Germania sui rifugiati siriani documentano come coloro che hanno subito abusi durante la fuga faticano molto più degli altri a integrarsi. Sono disorientati, vivono alla giornata, non cercano di imparare la lingua e le regole di convivenza civile del paese che li accoglie, hanno bisogno di accettare il primo lavoro che capita anche quando hanno qualifiche elevate e l’impiego proposto è ai confini dell’illegalità. In altre parole, il nostro modo di esternalizzare le frontiere non solo è esecrabile sul piano umanitario, ma finisce per far arrivare da noi persone che molto difficilmente sapranno integrarsi e che hanno una probabilità elevata di cadere tra le braccia delle organizzazioni criminali.

Un’altra strategia perseguita per contenere i flussi consiste nell’azzerare i permessi di lavoro o comunque ridurli molto al di sotto della domanda di famiglie e imprese. È la linea seguita ormai da decenni in Italia da governi di colore politico diverso, come narrato nella ricostruzione delle politiche migratorie italiane negli ultimi 35 anni offerta nelle pagine che seguono. Molti immigrati arrivano lo stesso, rimanendo oltre la scadenza del loro visto turistico. Ma non possono lavorare regolarmente, quindi non pagano i contributi sociali che servirebbero per finanziare le nostre pensioni. Altri vengono costretti a fare domanda d’asilo per rimanere in Italia quando in realtà vorrebbero solo lavorare prima possibile. Se la richiesta non viene accolta, si ritrovano anch’essi ai margini della legalità. Anche queste permanenze irregolari sono terreno fertile per la criminalità organizzata. E quando il numero degli immigrati irregolari supera un certo livello, si ricorre alle sanatorie, alla regolarizzazione di chi è già da noi, con procedure macchinose, quanto inique. Documentiamo come a quattro anni dall’ultimo provvedimento di questo tipo, una domanda su quattro sia ancora in attesa di giudizio. Tempi biblici occorrono anche per il rinnovo dei permessi di soggiorno e in questa lunga fase l’immigrato non può viaggiare neanche tra i paesi di Schengen, il che scoraggia molte persone altamente qualificate dal venire in Italia.

Quantità e qualità dell’immigrazione

Una gestione dell’immigrazione che cerchi di conciliare le esigenze del mercato del lavoro e dei conti pubblici con le preoccupazioni degli elettori deve affrontare contestualmente quantità e qualità dell’immigrazione. Alla luce anche del basso numero di laureati in Italia, soprattutto in materie scientifiche, bene cercare di attrarre più persone qualificate evitando loro le forche caudine dei rinnovi periodici che limitano la loro libertà di movimento. Queste persone creano lavoro, si integrano più facilmente e, come mostriamo, suscitano meno preoccupazioni tra la popolazione che li accoglie. Invece di quote coperte con anacronistiche chiamate nominative dal paese d’origine, con priorità stabilite in base alla data di presentazione della domanda, dovremmo utilizzare – come fa il Canada – sistemi a punti che riempiano le quote in base alla conoscenza della lingua del paese che li accoglie e alla capacità e disponibilità a svolgere le mansioni su cui c’è maggiore carenza di manodopera, permettendo a queste persone di cercare lavoro una volta arrivati in Italia. Si dirà che misure di questo tipo provocano un drenaggio di capitale umano da paesi che ne avrebbero più bisogno. In realtà non è così: rendono gli investimenti in istruzione nel paese d’origine ancora più redditizi perché uniscono ai vantaggi offerti dal titolo di studio nel mercato del lavoro quelli legati all’opzione di emigrare in paesi che offrono maggiori opportunità di reddito.

Cittadinanza come investimento in capitale umano

Gestire l’immigrazione significa occuparsi di chi arriva da noi, investire nella loro integrazione. Grave che questo governo abbia cancellato dall’agenda politica la riforma della cittadinanza. La nostra legge sulla cittadinanza è scritta per un paese di emigrazione, non per un paese che ogni anno accoglie sul proprio territorio centinaia di migliaia di persone, per lo più in cerca di lavoro. Serve a mantenere legate al nostro paese persone che magari non hanno mai vissuto da noi, ma che sono figli di genitori italiani. Non definisce un percorso di integrazione sociale ed economica al termine del quale si può, se si vuole, acquisire la cittadinanza e, con questa, il diritto di voto. Una persona nata in Italia da genitori stranieri può chiedere la cittadinanza solo dopo aver compiuto 18 anni e solo se fino a quel momento ha risieduto in Italia “legalmente e ininterrottamente”. La Germania ha superato 24 anni fa lo ius sanguinis, per introdurre uno ius soli temperato che offre la cittadinanza a chi nasce in terra tedesca e ha almeno un genitore residente da 8 anni. Sono così raddoppiati gli immigrati di seconda generazione che nascono con la cittadinanza tedesca, dunque con prospettive di lungo periodo nel paese che li ospita. Questo ha portato i genitori immigrati a investire di più nell’istruzione dei loro figli e questi ultimi a impegnarsi a scuola molto di più. Noi avremmo un bisogno estremo di introdurre regole di questo tipo. I tassi di abbandono scolastico fra i minori figli di immigrati sono intorno al 35%, uno spreco enorme di capitale umano, oltre che un ostacolo alla piena assimilazione delle nostre regole di convivenza civile.

Esternalizzare le frontiere

Gestire l’immigrazione può anche significare affidare ad altri paesi il controllo delle frontiere esterne, ma senza sottoporsi al ricatto di regimi dittatoriali e finanziare la violazione dei diritti umani. Non significa neanche inventarsi operazioni propagandistiche inefficaci e costose, come l’accordo con l’Albania. Significa investire nella formazione e informazione nei paesi d’origine. Come documentato da un recente rapporto della Banca Mondiale, esistono ormai diverse esperienze di successo (dall’Australia coi paesi del Pacifico, al Belgio col Marocco, alla Germania con il Kosovo) di corsi di formazione (linguistica, attitudinale e di orientamento nella ricerca di lavoro) tenuti nei paesi di origine che preludono all’offerta ai partecipanti di permessi di soggiorno. Le nuove tecnologie permettono di insegnare a distanza e rendono questa formazione molto meno costosa che in passato. Fondamentale anche informare i potenziali migranti sui rischi associati all’emigrazione irregolare. Documentiamo come in Guinea e in Nigeria, ad esempio, i giovani sottostimino molto i rischi associati ai viaggi verso la speranza. Quante vite umane avremmo potuto salvare informando adeguatamente i giovani di questi paesi e offrendo loro qualche possibilità di arrivare da noi senza dover attraversare a piedi il deserto del Sahara?

 

P.S. Il prossimo numero, in edicola dal 15 febbraio, sarà sulle guerre commerciali.

P.P.S. Ci scusiamo coi lettori per l’errore di impaginazione nella figura a pag. 68 dell’ultimo numero. La versione corretta si trova ora sul sito. È la prima volta che succede ed è una svista che cercheremo di non ripetere!

Non possiamo fare a meno dell’immigrazione
1/2025
Non possiamo fare a meno dell’immigrazione

Per essere socialmente accettabile deve essere gestita e non subita

Lo avevamo promesso ai lettori e in questo numero di eco lo facciamo: trattiamo dell’immigrazione nei suoi molteplici risvolti, nelle sue contraddizioni. Ne abbiamo sempre più bisogno per riempire posti vacanti e pagare le pensioni, ma al contempo è al centro delle preoccupazioni di molti. Non ci limitiamo a denunciare problemi, errori dei governi, costi evitabili, norme inapplicabili, differenze fra percezioni e realtà su quanti e chi sono gli immigrati. Cerchiamo anche di proporre vie d’uscita, che ci permettano di gestire anziché subire l’immigrazione. Da come riempire le quote di ingressi, a come costruire un percorso per la cittadinanza, a come esternalizzare le frontiere.

Leggi gratuitamente l’editoriale La grande contraddizione

UN LIBRO - CINQUE MOTIVI PER LEGGERLO

Abbonamenti

Scopri le opzioni per abbonarti

Proponiamo un anno di sottoscrizione, ovvero 12 numeri, a prezzo scontato con tre modalità: digitale+cartaceo con spedizione in Italia, solo digitale, solo digitale in inglese.

Abbonati
Subscription